Ancora una volta tassi d’interesse fermi e speranze deluse. Nella riunione del Consiglio Direttivo di ieri, 7 marzo, la Bce ha deciso di proseguire sulla via della prudenza, prendendo tempo e rimandando i tanto attesi tagli forse ad aprile, forse a giugno, più probabilmente a luglio, ma settembre non è da escludere. Per la serie, chi vivrà, vedrà.
Intanto da Francoforte il messaggio arriva chiaro. Mancano le condizioni per procedere con l’allentamento della stretta, serve altro tempo prima di valutare in modo attivo il via alla sforbiciata al costo del denaro. Christine Lagarde in conferenza stampa, ieri, non ci è girata intorno: è troppo presto per considerare vinta la battaglia contro l’inflazione.
Inflazione, che, sebbene in calo – al 2,6% a febbraio 2024 – non ha ancora raggiunto l’obiettivo del 2% prefissato. Per cui la presidente della Banca centrale europea, sostenuta all’unanimità dal Consiglio Direttivo nonché da analisti ed esperti di finanza e geopolitica, ritiene non solo prematuro, ma anche rischioso procedere con il ridimensionamento dei tassi.
Piaccia o non piaccia, è questo il verdetto. Che si traduce in un nulla di fatto. Il tasso sui finanziamenti principali resta così al 4,50%, quello sui depositi al 4% e quello sui prestiti marginali al 4,75%. In contemporanea sale il malcontento e scende la pazienza dell’Eurozona che, di fronte alla quarta pausa nel ciclo di dieci rialzi consecutivi cominciato a luglio 2022, ormai scalpita.